Ovvero pedalare in libertà

15 luglio 2013: Pasubio!

Da tempo fantasticavo di visitare questa montagna Sacra, possibilmente scalandola con la mia bike.

E finalmente mi sono deciso. Giorno di ferie e via: all’avventura!

Avevo letto in internet molti suggerimenti sul percorso da fare: strada degli Eroi e discesa dagli Scarrubi oppure il contrario?

Alla fine opto per iniziare dagli Scarrubi, soprattutto perché mi ispira l’idea di scendere per la strada degli Eroi con il risultato già acquisito e goderne poi gli scenari con minore apprensione sulle possibilità di riuscire ad arrivare fino in fondo. Se non c’è la farò (per stanchezza o maltempo) abbandonare sugli Scarrubi sarà cosa diversa da lasciare a metà “la strada degli Eroi”.

Lascio l’auto presso Ponte Verde ed inizio a salire, su asfalto, fino al passo Xomo (1180 mt).

Qui mi guardo intorno un po’ e poi inizio a salire per la strada degli Scarrubi, inizialmente in asfalto fino al parcheggio per le auto dei visitatori della strada delle 52 Gallerie, poi proseguendo su sterrato. Dopo un centinaio di metri, un cartello di divieto (anche alle bici) mi lascia perplesso. Consulto la mappa e il GPS: ma sì, sono sulla strada giusta... supero la sbarra e proseguo dritto... per ora pericoli gravi non ne vedo.

La salita si dimostra più ripida e sconnessa di quanto mi aspettassi, diciamo: “pedalabile, ma con impegno”. Ogni tanto mi incastro su qualche roccetta fermato dai miei 4 km/h, devo mettere giù il piede, ma riparto sempre in sella.

Ad un certo punto guardo in alto, verso i tornanti che ancora mi aspettano. Le orecchie mi si flettono istintivamente verso il basso.

Dopo una buona mezz’ora passata a spingere sui pedali e a dosare le forze, riguardo gli stessi tornanti, ma questa volta dall’alto verso il basso. Provo stupore misto a soddisfazione: “ma sono salito da lì?”

Ad un tratto i tornanti finiscono, c’è un breve falsopiano e dopo una curva a sinistra dietro ad una roccia si entra in un nuovo mondo: nuvole basse, nebbia, rocce in bilico su altre rocce, dirupi ovunque.

Bello, ma... il senso del tenebroso ed un po’ di strizza, ci sono, inutile negarlo.

Proseguo. Calcolo con il GPS che mi mancano ancora circa 150 metri di dislivello, non è ancora finita. Infatti c’è un lungo rettilineo verso il rifugio Papa che ora è dato a 25 minuti dai segnasentieri, ma ancora non riesco a scorgerlo. Sembra non finire più, eppure dovrebbe essere qui... ad ore due, mentre salgo, vedo i campi di battaglia, la zona delle trincee.

Arrivato al culmine della salita, nascosto da una sorta di porta di roccia, vedo che si gira a sinistra e finalmente eccomi in vetta, il rifugio è lì che mi aspetta enorme e placido, diviso a metà tra la nebbia e un raggio di sole.

Un paio di foto ed entro. Non c’è quasi nessuno, sono le 14, l’appetito non è eccessivo, ho lo stomaco chiuso, ma voglio premiarmi con un piatto tipico e soprattutto voglio restare lì un po’ per rendermi conto bene dove sono. Ecco allora che ordino il massimo: polenta, funghi e formaggio, il tutto innaffiato con una bella Radler fredda. Alla faccia dello sportivo!

Ben rifocillato riprendo l’escursione, sulla tovaglietta che mi hanno dato vedo che l’arco romano e la chiesetta non sono distanti, un altro centinaio di metri di dislivello, a stomaco pieno non sono il massimo, ma la foto ricordo sotto il monito “Di qui non si passa" la voglio a tutti i costi.

Polenta, funghi e ... Radler!

Tovaglietta ricordo

Galleria D'Havet

Discesa per la Strada degli Eroi

Adempiuto alle formalità, inizio la discesa per la strada degli Eroi, vado pianissimo perché me la voglio godere in ogni dettaglio, le rocce, i tornanti, gli strapiombi (questi li guardo quasi girandomi dall’altra parte!), le gallerie. Arrivo alla galleria D’Havet. Passata questa, il clima e lo scenario cambiano di nuovo: sole, cielo azzurro, verde del bosco.

La discesa mi sembra infinita, non credevo di aver fatto tutto questo dislivello, mi fermo più volte per capire quanto manca, sono stupito di come sia lunga. Corro nel verde, tra gli abeti e i fiori gialli che pendono dall’alto ad incorniciare lo sterrato tra i tornanti.

Prima o poi doveva accadere: la discesa finisce e sbuco a Pian delle Fugazze. Qui avevo in mente di visitare l’Ossario (avrei dovuto girare a destra e poi subito a sinistra), ma è tardi e soprattuto ho già osato troppo per le mie scarse capacità, giro a sinistra e con discesa veloce faccio ritorno a Ponte Verde.

Riparto verso casa e mi sento più leggero, come se avvessi lasciato, non solo il sudore, ma una parte di me sul Pasubio. Mi sembra di essere stato accolto nella pancia di un gigante, che mi ha fatto vedere le opere degli uomini ed intuire i sacrifici di migliaia di vite. Un gigante che poi mi ha lasciato scivolare via piano, ridiscendere in pianura, benevolo nei confronti di un solo, piccolo uomo.


La traccia più simile a quella da me percorsa (ma che arriva fino a cima Paolon, a 2.232 mt) la si può scaricare QUI.